da Utopisti ed eretici nella letteratura italiana contemporanea, Rubbettino editore
1. Quando alla fine degli anni ottanta Piergiorgio Bellocchio ha pubblicato Dalla parte del torto per molti è stata una sorpresa, una rivelazione: ad esempio, tra i giovani lettori del libro quanti conoscevano la singolare esperienza politico-culturale dei <
2. Bellocchio ha raggruppato gli articoli in due parti. Nella prima è stata inclusa gran parte dei testi usciti sui <
In quegli anni Bellocchio partecipa alla cultura del marxismo critico, eterodosso (influenzato da personalità come Gobetti, Gramsci, Vittorini, Fortini, Adorno...) e la sua attività polemica è animata da una profonda tensione morale e da un’esigenza di radicale rinnovamento ideale e politico. Ecco, ad esempio, che cosa afferma in uno dei primi scritti:
Guardiamoci intorno e non vedremo che gente che vive e ragiona solo in termini di lavoro e ferie: produrre col massimo profitto per poterci permettere un tempo libero più rilassante e privo di pensieri il quale ci rimetterà in forma onde riprendere il lavoro col massimo profitto [...]. Questa civiltà non può che essere “razzista”, il razzismo le è connaturato e indispensabile. La sempre più vasta ed efficace assistenza che daremo ai malati, ai vecchi, ai pazzi, ai deformi, ai moribondi non è affatto antitetica allo sterminio sistematico usato dai nazisti, è solo un metodo di eliminazione meno brutale e più ipocrita che ci permette di espellere dolcemente dalla nostra vita tutto ciò che disturba la nostra produttività e il nostro relax, tutto ciò che è difforme, eccezionale, problematico, difficile, inquietante.
Costruiremo sempre più ospedali, cliniche psichiatriche, gerontocomi, istituti di rieducazione, e sempre maggiore sarà il numero di coloro che vi confineremo. Senza bisogno di usare violenza: noi stessi ci andremo spontaneamente quando sarà il caso. Segregheremo prontamente, uccideremo quella parte di noi che nuocerà alla nostra produttività e al nostro relax. E la nostra vita diventerà sempre più comoda e ottusa e “felice”: la clinica ci regalerà la pillola adatta per ogni minimo caso di dolore fisico e psichico, la psicanalisi le formule in cui catalogare ogni nostro pensiero, avremo libri da leggere scritti da macchine elettroniche e altre macchine elettroniche ci forniranno le chiavi per capirli. Moriremo in aereo senza accorgercene oppure nel letto di una clinica (senza che ce ne accorgessimo saranno morti i nostri genitori, i nostri amici), soli (perché la produttività e il relax dei nostri figli, dei nostri amici ne sarebbero disturbati), così ben imbottiti di morfina da non accorgerci di nulla né che siamo soli né che stiamo morendo. Né che la nostra vita è stata uccisa ben prima della sua morte fisica. Il rispetto della vita altrui comincia da quello che abbiamo per la nostra.
Abbiamo citato abbondantemente perché si tratta di uno dei testi più singolari e tipici della produzione di Bellocchio in cui viene denunciata la logica del sistema capitalistico, il modus vivendi della società opulenta, mediante uno stile crudo e intriso da risentimento e amarezza.
In questi corsivi vengono infatti affrontati, in maniera inusuale e anticonformista, temi e problematiche (parecchie delle quali ancora attuali) di grande importanza che non godevano però di molta attenzione e considerazione da parte della stampa di regime e della sinistra “ufficiale”. Così si passa da Il suicidio di Marylin (Monroe) al già citato Il caso Vandeput: la morale in crisi, da Postille al caso Ward-Profumo a Baruffe di servi (sul Premio Viareggio), che provocò il risentimento e la vivace reazione di Moravia e Pasolini, da Una morte postuma (sulla fine de <
E’ questo il primo periodo dell’attività di Bellocchio (e del gruppo dei <
Si tratta comunque della fase meno significativa e “invecchiata” (proprio perché direttamente politica) dell'attività intellettuale di Bellocchio dove si nota una certa superficialità e faciloneria in certi giudizi e nella stesura dei testi, sebbene non manchino anche qui articoli di un certo interesse, come, ad esempio, L’ultima speranza, Omaggio a <
Intanto Bellocchio aveva da poco iniziato a collaborare con l’editore Garzanti (è il suo primo lavoro retribuito) scrivendo “voci” per l’Enciclopedia della letteratura (1972) e per l’Enciclopedia europea (1976) e prefazioni a opere di Stendhal, Dickens e Casanova, mentre va via via pubblicando sulla rivista piacentina alcuni dei testi più compatti e complessi della sua intera attività di saggista, che non a caso segnano, con i primi segnali di crisi dei movimenti di massa, un ritorno agli interessi letterari e cinematografici: Boll e il romanzo, L’itinerario poetico di Raboni, A proposito di Barry Lyndon (il film di Stanley Kubrick, uno dei registi più amati: si ricordi che sul Dottor Stranamore aveva scritto nel ’64 la sua prima importante recensione) e infine Riflessioni ad alta voce su terrorismo e potere, che, per ironia della sorte, apre l’ultimo numero della prima serie dei <
La seconda sezione del libro s’intitola L’offesa superflua (dal testo omonimo che prende spunto dai Minima Moralia di Adorno) e comprende i testi dei primi anni ottanta, pubblicati in vari periodici. Dopo la conclusione dell’esperienza della prima serie dei <
Questi articoli segnano, per molti versi, l’inizio di una nuova fase dell’attività intellettuale di Piergiorgio Bellocchio, con la manifestazione di “nuova” visione ideale e politica, della vita e del mondo. Con la crisi della sinistra vecchia e nuova e l’esaurirsi dei movimenti sociali di massa nella seconda metà degli anni settanta anche in Italia si afferma progressivamente un modello di società totalmente integrata, omologata e autoritaria in cui vengono annullate tutte le differenze e le contraddizioni politiche: è il trionfo del mercato, del consumismo, della telecrazia e dell’edonismo di massa. Bellocchio è uno dei primi a capirne e a denunciarne gli effetti devastanti, le disastrose conseguenze e implicazioni sul piano della cultura, dei comportamenti e dei costumi degli italiani. Per lui la società attuale è segnata da sempre più gravi ingiustizie e malessere però non presenta possibilità di riscatto e di trasformazione radicale. Di qui la sua sfiducia, il suo pessimismo; un pessimismo attivo lucido antagonista, però, che testimonia, contro l’offesa continua, la necessità di salvare i valori positivi, l’integrità dell’uomo. Delusione, amarezza, senso di solitudine, sdegno morale: sono infatti questi i sentimenti che animano i testi de L’offesa superflua che si traducono sulla pagina in un acceso furore polemico e in una rara e intensa passione civile.
In queste brevi riflessioni e meditazioni Bellocchio riprende, per molti versi, i modi dei corsivi dei primi anni sessanta, ma con una maggiore consapevolezza e lucidità, con una superiore padronanza della scrittura, mentre lo stile assume nei vari articoli movenze e tonalità differenti. Così, per fare qualche esempio, si va dalla pacata ma ferma denuncia di Il camion assassino, all’ironica stroncatura di Facile, semplice, quasi banale, dalla dura e risentita requisitoria di L’offesa superflua e di L’otto settembre alla dissacrante e gustosa farsa di Il Nobel a Borges, per favore!. Insomma, nella loro singolare esemplarità questi testi esprimono un netto e categorico rifiuto dei valori correnti, dell’insensatezza e degli orrori della nostra vita quotidiana (ridotta a “merda”), del conformismo e dell’opportunismo della nostra “classe media”, della cieca follia, della pavidità, dell'insipienza e irresponsabilità dei ceti dirigenti italiani di ieri e di oggi.
Chiude il volume il bellissimo Down and out (da leggere accanto ai due brevi testi su Céline), un saggio del 1983 sull’opera di George Orwell, in cui Bellocchio difende l’autore di 1984 dai suoi critici, esaltandone la lucidità (il suo “senso storico”), l'integrità e la coerenza morale e intellettuale, la grandezza di scrittore. Bellocchio giudica molto severamente il comunismo e la qualità dell’impegno politico di gran parte degli intellettuali negli anni trenta e quaranta. Secondo lui per <
Negli articoli di L’offesa superflua Bellocchio procede verso una revisione, un graduale superamento dell’estremismo ideologico che aveva caratterizzato la sua precedente attività, in special modo negli anni della contestazione. Questa nuova fase dopo qualche anno culminerà nella singolare esperienza della rivista <
3. Dalla parte del torto è stato un “piccolo” evento editoriale della fine degli anni ottanta, un caso assai raro e inusuale nel panorama culturale italiano, per un libro così fatto. Ma leggendolo ci si avvede subito che si tratta di uno dei libri più belli e più singolari scritti e pubblicati nel corso di quel decennio, sia per la forma e l’intensità della scrittura e sia per la coerenza e il vigore morale del suo messaggio critico e polemico. Sta di fatto che la relativa e meritata fortuna di critica e di pubblico ha permesso che venisse meglio conosciuta l’attività politico-culturale dello scrittore piacentino richiamando l'attenzione sulla sua precedenza attività.
In questo libro Bellocchio ha raccolto gran parte dei testi già pubblicati dal 1985 al 1989 sulla rivista <
esigenza di creare uno strumento di comunicazione libero da ogni condizionamento, indenne dal rumore della chiacchiera culturale, della pubblicità, dei falsi specialismi. Una rivista necessariamente povera, che esce quando ha qualcosa da dire, che non deve niente a nessuno, totalmente autogestita. <
Il rifiuto dei mezzi e dei metodi dell’industria culturale e l’invenzione di strumenti culturali alternativi, cioè la scelta della “forma umile” del <
In questo libro Bellocchio prosegue l’attività di polemista e di critico militante collegandosi, in maniera particolare, sul piano tematico, stilistico e ideale, al discorso avviato agli inizi degli anni ottanta, ma con una differenza sostanziale: non più articoli giornalistici bensì aforismi, epigrammi, scketch, note di costume, pagine di diario, raccontini, citazioni, brevi articoli, saggi, ecc., che si pongono tra <
L’esperienza di <
Limitare il disonore. Un obiettivo che vent’anni fa avrei trovato ripugnante e assurdo, in quanto onore e disonore non sono graduabili. E in effetti si tratta di un proposito ben misero, una guitteria morale, una trovata da servo di commedia. Ma quand’ero giovane non potevo ipotizzare un fallimento di queste proporzioni. Se allora immaginavo il peggio, era la sconfitta politica per opera della controrivoluzione, e si manifestava nella reazione, che per quanto spietata (e proprio per questo), garantiva ai vinti l’onore dell’esilio, della prigione e, al meglio, la gloria del patibolo. Il destino è stato derisorio. Nessuno vuole ucciderti. La reazione quotidiana di offese che patisci proviene da istituzioni e da persone animate dalle migliori intenzioni, e il trattamento a te riservato è più o meno lo stesso che tocca alla stragrande maggioranza della razza occidentale, che pare trovarsene bene. Per cui corri sempre il rischio di apparire (anche a te stesso) paranoico, snob, o semplicemente ridicolo.
Così per un po’ subisci facendo finta di nulla, eviti le occasioni, giri al largo, e ogni tanto reagisci. In altre parole, dopo aver incassato trenta o quaranta colpi, ti rintani in qualche angolo o buco, dandoti per morto per evitarne altrettanti. Poi rimetti fuori la testa. Giusto il tempo di buscarne sette o otto. Allora ti scuoti: pari un colpo o due e replichi a tua volta con due o tre colpi, che nei migliore dei casi suscitano qualche curiosità (mai simpatia o solidarietà), nel peggiore deplorazione, ma per lo più non vengono neppure avvertiti. Serve comunque a restituirti per un momento un po’ di rispetto per te stesso, sì che neppure senti i colpi che continuano a pioverti addosso. Guadagni, come dire, un po’ di tempo. E si ricomincia. Questo intendo: per limitare il disonore.
Questo senso di solitudine, d’amarezza e d’impotenza sono la spia di una profonda crisi d’identità, di una delusione politica e morale. In una società totalmente integrata, dove gli spazi di libertà e di autonomia sono ridotti praticamente a zero, all’intellettuale che non vuole scendere a compromessi con il potere, che rifiuta di adeguarsi al nuovo ordine sociale e politico non rimane che mettersi <
Questo senso di solitudine e d’impotenza, di avvilimento e di sfiducia è particolarmente marcato nei primi testi del libro. Però, con l’andare del tempo, Bellocchio pian piano <
Per lo scrittore piacentino negli anni ottanta la
società totale è un fatto compiuto. Nessuno vuol far più nulla in proprio. Tutti lavorano, si divertono e lottano collettivamente: partiti, gruppi, associazioni, settori, categorie, fasce di reddito, scaglioni, cooperative, corporazioni, livelli, cartelli, consorzi, consigli, aggregazioni, correnti, chiese, leghe, confraternite, giunte, confederazioni, coordinamenti, club, tifoserie, commissioni, comitati, comitive, condominii… Tutti partecipano con fervore pro quota, societariamente, sindacalmente, assemblearmente, telefonicamente, via satellite…
Il mondo è diventato un <
un esercito formato da milioni di burocrati, industriali, liberi professionisti, commercianti, agenti, concessionari, assessori, sottosegretari, consulenti, appaltatori, faccendieri, esattori, designer, promotori, pubblicitari, giornalisti, programmatori, assicuratori, stilisti, estetisti, operatori di borsa, operatori sanitari, operatori di volo, operatori artistici, operatori sportivi, operatori turistici…
Ma la novità e la singolarità del libro non dipendono tanto dall’aspetto tematico, dalla sua intensa carica polemica, etica e ideale, bensì dallo stile e dalla struttura dei vari testi, cioè dal <
Pochi scrittori contemporanei conoscono come Bellocchio i segreti della lingua. Abbiamo già citato alcuni “saggi” della sua singolare ars combinatoria che utilizza procedimenti diversi, che spesso trasgrediscono la norma linguistica, con l’uso della tecnica del montaggio, della enumerazione e della deformazione. Il libro è quindi abbastanza ibrido, composto di testi appartenenti a generi e a stili diversi. C’è una vena funambolica, farsesca e satirica, alla quale appartengono, ad esempio, la gustosa stroncatura del romanzo di Umberto Eco il Nome della rosa, definito sarcasticamente la <
La smania di aggiornamento, la corsa all’adeguamento di molta cultura comunista fa un effetto grottesco. Come una donna tutta casa chiesa famiglia che a cinquant’anni improvvisamente scopre il piacere del sesso libero. Anzi, il dovere. Laonde concede tutto a tutti e subito, temendo di non apparire abbastanza moderna. E’ vero che c’è da rimediare a decenni di gretta virtù, miopi economie, canina fedeltà. Ma fra l’interesse e il delirante entusiasmo, corre qualche differenza. Una cosa è l’apertura di trattative, un’altra la resa senza condizioni. E la cortesia non implica necessariamente l’irrumazione.
L’abbandono del materialismo dialettico e la scoperta del pensiero liberale, l’apertura alla psicoanalisi e alle scienze umane, il superamento del realismo socialista e la riconsiderazione dell’avanguardia, non comportano che si debba addirittura far concorrenza agli ex avversari sul loro terreno. Non serve che i comunisti vogliano fornire a tutti i costi il loro contributo in tema di labirinti, tarocchi e sciamanesimo. C’è già chi ci pensa. Anche troppi. E lo faranno sempre meglio degli ultimi arrivati, i goffi neo-adepti comunisti.
oppure sul malcostume e il conformismo di certi giornalisti, di scrittori di grido, vecchi e nuovi baroni universitari (<
Vogliono sempre il bicchiere pieno. Sennò perdono la testa. Se il vino scarseggia, aggiungono acqua. Purché il livello si mantenga costante. Se il marxismo è in ribasso, si integra subito la perdita con un po’ di spiritualismo, liberalismo, pensiero negativo…Qualunque cosa. La democrazia delude? Metti un po’ di decisionismo, reaganismo, fascismo… L’avanguardia non rende, si torna ad investire in valori tradizionali. Il pensiero forte segna il passo? Si promuove il pensiero debole. E viceversa. Passando dal mercato delle idee ai problemi di reddito e status, la regola non cambia. Se cessano la collaborazione al <
Non mi riferisco a forsennati arrampicatori, a mostri d’ambizione. Parlo di intellettuali medi, alcuni anche non spregevoli. Hanno bisogno di stare a una certa quota. Raggiunta la quale, se anche non si può o non si vuole andare più avanti, indietro non si torna.
o sulla mediocrità e il buonismo di certi giornali di sinistra:
Se <
E c’è, come si è già visto, una vena più “seria” dal tono amaro e risentito, dallo stile lirico ed elegiaco, in cui l’autore indugia e riflette su particolari momenti della sua biografia, sulla sua attuale condizione morale e intellettuale, con passi davvero memorabili. E ci si riferisce qui ai saggi sul pensiero reazionario e il “caso” Schmitt (Uomini superiori) e su Pasolini (L’autobiografia volontaria di Pasolini), e, in particolar modo, ad alcuni densi raccontini d’ispirazione prettamente autobiografica e ad alcuni illuminanti aforismi dove si avverte maggiormente la lezione dei suoi maestri “francofertesi”, Adorno, in primis.
4. Dopo la pubblicazione di L’astuzia delle passioni il lettore ha la possibilità di conoscere quasi l’intera opera dello scrittore piacentino (a proposito: a quando la ristampa de I piacevoli servi e degli altri testi narrativi pubblicati successivamente?) e ciò che di essa innanzitutto colpisce, pur nel variare delle stagioni politiche e culturali e al di là del valore e del significato dei vari testi, è la profonda unità e coerenza, frutto dell’appassionato impegno etico e politico di uno scrittore irregolare, di un severo polemista sempre geloso della sua integrità e della sua indipendenza. Infatti, sin dai suoi esordi Bellocchio ha cercato continuamente di mantenersi estraneo ai vizi e ai compromessi tipici della corporazione degli intellettuali, di denunciare il processo d’integrazione e di omologazione politico-culturale; e i suoi giudizi severi e la sua intransigenza morale non sono mai dettati da astio personale o da pregiudizi nei riguardi di questo o quell’autore o gruppo politico o intellettuale bensì dal proposito di modificare radicalmente la società in cui viviamo e operiamo. Non a caso egli ha lanciato ripetutamente critiche sferzanti nei confronti di quegli intellettuali della sua generazione, degli <