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martedì 24 novembre 2020

Gianmario Lucini su Mistici, di Erminia Passannanti


Gianmario Lucini e Event Organizer Patrizia
(Venezia)
Foto di Erminia Passannanti

Mistici

Poesie di Erminia Passannanti

(Ripostes 2003)

Nota di Gian Mario Lucini 

Chi nella poesia di Mistici cercasse un centro, un motivo ispiratore, un filo rosso che sorregge la raccolta, probabilmente si troverebbe in gravi difficoltà, perché Mistici è un volume policentrico, una specie di trama che rifiuta un ordine fisso. Eppure, anche se alcune poesie sono già state pubblicate dall'autrice in altre raccolte (Macchina, Manni, 2000), il senso dato a Mistici è evidentemente quello di una coesione particolare. L'elemento che costituisce questa trama è, come altri hanno rilevato, il sogno, la visione o l'allucinazione dei sensi, ma anche della mente, una specie di nascosto delirio che si esprime con un suo linguaggio surreale, denso di immagini vivide e paradossali, a volte prese tout court anche dalla vita reale, o anche da una sensibilità pittorica manierista, e poi montate per associazione in un racconto - perché di racconto si tratta - tutto interiore. Scrive Pietro Cataldi nella Prefazione alla pubblicazione: "La scrittura di Erminia Passannanti mette in discussione radicalmente le cinque W [What, Who, Where, When, Why]: non sono ovvi e a volte non sono perspicui, né l'oggetto né il soggetto, né il quando né il dove né tanto meno il perché". Si direbbe dunque il linguaggio simbolico dei sogni, se non fosse che il libro non parla di sogni ma di vita reale e pone una tematica che non è affatto onirica: solo le immagini, la scrittura, l'apparenza di questi testi richiamano il sogno; la sostanza tematica è di ben altro segno e di urgenza esistenziale.

E qui viene in mente Amelia Rosselli, poeta che Erminia Passannanti ama particolarmente ed alla quale indubbiamente si riferisce in alcune scelte espressive, a volte persino in alcune forme linguistiche (ad esempio l'uso dell'imperfetto in forma arcaica: io stava come pia donna presso l'altare... ) o la ricerca di forme stilistiche medioevali - come in Eresia, a pag. 27, che riecheggia un sonetto cinquecentesco). Ed è peraltro rosselliana - perché la Rosselli l'ha enfatizzata più di ogni altro poeta - anche la costruzione libera/associativa dei significati. Sembra anche un omaggio esplicito alla Rosselli, la poesia Profezia, che narra gli stati d'animo di una suicida. Pasoliniano, invece, lo sfondo espressionistico, le tinte forti del corpo tragico e al contempo ludico, e la campitura di queste composizioni: una incessante interrogazione di natura religiosa (ma non confessionale: parlo qui di religiosità laica, ossia delle domande che la mente si pone intorno al suo centro, intorno all'essere e alla sua essenza). Domande che l'autrice non risolve certo in una ricerca filosofica, di cui nel libro non troviamo traccia, ma che semplicemente vengono dette, annunciate in tutta la loro terribile evidenza e collocate nel quotidiano dell'attimo, come (e qui entra l'elemento onirico) un sogno ad occhi aperti nel quale la vita "reale" è solo un'interruzione momentanea, una parentesi aperta e chiusa. O meglio: non è possibile distinguere se il "racconto" della Passannanti sia quello di un sogno che avviene nella vita reale, come a sprazzi raccolti e messi per scritto, allucinazioni momentanee che l'autrice cerca di vincolare al verso, oppure se la vita stessa di ogni giorno sia una parentesi di altra inspiegabile natura che fluttua dentro questo sogno, una specie di finestra aperta dalla quale ci vediamo vivere. Il mistico infatti è colui che non sta nella dimensione terrena, che aleggia a mezz'aria attratto dal mistero, è il corpo che si trasfigura ed assume la natura del fenomeno nel quale si perde, che diventa inconsistente, etereo.

Illuminante, per la comprensione del libro, le ultime 8 pagine in prosa, una specie di dialogo dal sottofondo un po' ironico e un po' polemico (a volte anche ingenuamente blasfemo, ma mai con malizia e con pretesa dottrinale o filosofica), che si riferiscono a colloqui che l'autrice ha avuto con sua madre su temi religiosi, o meglio sulla figura di Gesù, e che per tema centrale hanno l'umanità di Cristo, questa inconciliabile dimensione del finito con l'infinito. La figura del corpo (di Cristo) è il maggiore ostacolo alla comprensione di Dio e la sua natività misteriosa la vera incomprensibile assurdità teologica.

Mistici non è che la storia di questa oscillazione della mente fra materia e spirito, fra corpo e sensi e idea di trascendenza, fra istintualità dell'umano legata al corporeo, alla sensualità, alla sessualità e idea di un ultra-terreno dove il corpo non è, dove l'IO è leggero e inconsistente come il sogno o come l'idea. La dimensione esistenziale di cui dicevamo sopra ruota intorno a questa inconciliabile dualità che la persona umana in sé simboleggia, come segno di eternità (a-temporalità, a-spazialità) da una parte e finitezza, decadenza, corruzione (temporalità e spazialità) dall'altra. E il pensiero, la sensibilità, il sentimento, l'istinto, che sono a metà fra queste due dimensioni perché vissute come una specie di interfaccia fra spirito e materia, si perdono, si sconcertano, arrivano all'afasia. Il delirio non è altro che una forma di difesa, il dolore dell'essere consapevole di questa dualità che si esterna e cerca un altro spazio, un altro mondo vivibile e conciliato, dove la dualità diventi unità.

Numerosi e importanti sono, nel libro, i richiami all'impossibilità di questa conciliazione. Numerose anche le figure evocate (l'ostia, la monaca, ecc.) che nella loro fisicità inibiscono lo slancio mistico, lo ricacciano nella materia, lo riducono a cifra di questa inconciliabilità. E in questo vediamo un chiaro segno della cultura anglofona nella quale l'autrice vive immersa (ha tradotto, infatti, Emily Brontë e R.S. Thomas, Seamus Heaney e Sylvia Plath, essendosi occupata della poesia di quest’ultima per la sua prima tesi di laurea). Da questo punto di vista potremmo azzardare che il libro stesso sia in qualche modo la risultante di due formazioni culturali che coabitano l'IO di Erminia Passannanti: da una parte la solarità sognante e l'oro del barocco napoletano ma anche i chiaroscuri del manierismo, e dall'altra l'asciuttezza e la concretezza del pragmatismo.

Mistici è dunque, per noi, un libro che oscilla fra poli contrapposti. Anche Cataldi lo ha rilevato, nel senso di una conciliazione di opposti. Noi non vediamo questa conciliazione ma piuttosto un luogo aperto, un teatro dove tutto si recita senza mai concludersi, la storia dell'Io che fluisce e non sa per dove, come, quando, perché, e chi esso sia (le cinque W evocate da Cataldi). Per questo ci sembra che la nota saliente di questa scrittura sia esistenzialista e non surreale, e che surreali sia soltanto il modo di scrivere dell'autrice, la sua sintassi espressiva.

Questa è pertanto quella che noi consideriamo la "campitura" del libro, l'ambiente mentale nel quale le poesie possono essere collocate. Sono poesie che narrano della propria esperienza, che la raccontano, che raccontano fatti reali pur registrati dalla mente con una specie di tremore emotivo, che a volte (ma tutto sommato non spesso) si difende con un vezzo ironico, come una rassicurazione, una sospensione.